1. Giugno 2023 Società 5.0: quando l’Incoscienza Artificiale incontra l’Intelligenza Umana
L’articolo di Emanuela Ferro (Head of Executive Search di Glasford International Italy), è inserito nella rubrica “The Human M&A Path” in collaborazione con Dealflower.
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L’Intelligenza Artificiale è indubbiamente uno dei temi caldi del momento, e le riflessioni che porta con sé sono molto ampie, richiamando il ruolo dell’Uomo nel mondo che cambia sempre più repentinamente. In Glasford International Italy seguiamo con interesse i dibattiti sul tema, analizzando rischi e opportunità e il loro impatto sul sistema. Proprio con questo obiettivo, abbiamo di recente “coinvolto” due applicazioni IA in una tappa del nostro M&A Path, il percorso che abbiamo realizzato per approfondire l’impatto del Capitale Umano nelle Operazioni Straordinarie. Nello specifico, abbiamo posto loro una domanda che molto spesso ci viene fatta: qual è il profilo ideale del CEO di un’azienda partecipata da un fondo di Private Equity?
Il profilo del CEO secondo le IA
Il primo esperimento lo abbiamo compiuto con Dall‑E, applicazione che genera immagini partendo da input testuali. Nonostante la nostra domanda posta in inglese non porti con sé sfumature di genere, tre delle quattro immagini generate come output rappresentano uomini di mezza età, occidentali, in giacca e cravatta, su skyline metropolitano – mentre l’unica donna, dai tratti asiatici, evoca più un’assistente. L’IA non sembra quindi essere molto sensibile a tematiche di Diversity & Inclusion, almeno in questo caso. Questo perché Dall‑E utilizza immagini esistenti per crearne di nuove, replicandone le caratteristiche – e, quindi, gli stereotipi.
Ponendo lo stesso quesito a Chat GPT (noto software di intelligenza artificiale conversazionale), le cose migliorano. Chiedendo infatti se il ruolo di CEO possa essere ricoperto meglio da un uomo o da una donna, questa volta in italiano, l’IA ci rimprovera, perché «gli stereotipi di genere non rispecchiano la realtà delle competenze e delle abilità di leadership delle singole persone». Anzi, rimarca che «la diversità di genere nei ruoli di leadership porta una maggiore diversità di pensiero e prospettive, che possono portare a decisioni più innovative e di successo». Riguardo all’età, la risposta è simile: «da sola non può essere considerata un fattore determinante nella scelta di un CEO. La scelta dovrebbe basarsi principalmente sulle competenze, l’esperienza e la capacità di guidare l’azienda verso il successo. […] L’importante è selezionare un CEO che abbia la giusta combinazione di abilità, esperienza e visione, indipendentemente dall’età».
Rischi e opportunità
L’attenzione da riservare nella scelta di un manager alle tematiche di inclusione e valorizzazione, così come agli elementi di cultural fit essenziali per ogni buon inserimento e integrazione all’interno di un’impresa, è un aspetto chiave per chi, come noi, si occupa di Ricerca e Selezione impegnandosi a farlo in maniera consapevole. L’IA si dimostra al momento un utile acceleratore di raccolta dati, ma non sostituisce l’Uomo, le sue facoltà e responsabilità nel fare domande e nel prendere decisioni. Per chi avesse timore di perdere la sfida con il “robot dai super poteri”, dunque, c’è ancora speranza – a patto che abbia correttamente compreso il proprio mestiere, si intende.
Ma spostiamoci verso un perimetro più ampio di questa riflessione: bene che l’Intelligenza Artificiale abbia iniziato a comprendere alcuni rischi legati a stereotipi che tipicamente hanno influenzato le scelte aziendali, soprattutto su ruoli apicali e in alcuni contesti organizzativi e di industry. Ma saremo capaci di programmare IA davvero prive di bias, se spesso l’uomo, che di fatto le programma, non lo è? Torneremo al fondo dell’articolo su questo argomento e sulle conclusioni che ne scaturiscono.
C’è difatti un altro rischio che IA porta con sé ad oggi e riguarda il tema della regolamentazione. Le regole non tengono il passo con un progresso così rapido, ma più spesso lo rincorrono. Su questo si sta concentrando la Commissione Europea, impegnata nella stesura di un “AI Act” per regolamentare l’Intelligenza Artificiale con un approccio risk-based, imponendo obblighi di conformità e trasparenza proporzionali al danno che tali applicazioni possono causare ai diritti fondamentali degli individui che le usano. Con l’approvazione, scatterebbero nuove regole e requisiti per l’immissione sul mercato, nonché il divieto di alcuni utilizzi, quali sistemi per l’identificazione biometrica in tempo reale o per rilevare contenuti sospetti di illegalità, ma anche algoritmi che generino un “social scoring” delle persone.
Fermare lo sviluppo di nuove tecnologie, come propongono alcuni, non è però la via: a fianco dei rischi, esse infatti generano innumerevoli opportunità. Nella sanità, ad esempio, iniziano a diffondersi soluzioni di IA che aiutano i medici ad elaborare i dati raccolti con la telemedicina, consentendo di intervenire con diagnosi e trattamenti “su misura”. Anche durante il periodo pandemico un utilizzo virtuoso della tecnologia si è rivelato prezioso: da un lato consentendo a milioni di persone di lavorare da casa, dall’altro permettendo a chi non poteva farlo di operare in sicurezza. È il caso, ad esempio, di una grande multinazionale manifatturiera italiana che, grazie alla collaborazione tra la direzione HR e i sistemi informativi di Gruppo, ha realizzato un sistema di Intelligenza Artificiale per gestire al meglio il rischio contagi in azienda. Tale sistema ha consentito, infatti, all’impresa di non interrompere mai la propria attività, neanche nelle fasi di lockdown più restrittive, riuscendo a garantire non solo continuità produttiva ma il massimo della sicurezza e serenità degli oltre 9000 collaboratori.
Complessivamente, osservando le opportunità legate all’Intelligenza Artificiale possiamo dire di fatto che tra i più alti benefici vi è quello di concentrare le capacità umane in attività ad alto valore, liberandoci da quelle più ripetitive e di minor impatto. Per questo, negli ultimi mesi, anche in Glasford stiamo evolvendo, valutando l’introduzione di strumenti a supporto, ad esempio, delle attività di Operations, di Marketing e di Business Intelligence grazie ai progetti che stiamo realizzando con il nostro Chief Information Officer, volti all’automazione ed efficientamento di alcuni processi.
Un’evoluzione chiamata Società 5.0
Oggi come ieri, quindi, la tecnologia è un acceleratore dell’emancipazione dell’uomo da compiti usuranti e della sua capacità di ampliare la propria conoscenza del mondo. Occorre però fermarsi a riflettere su quale sia, in questo scenario, l’insindacabile valore umano. La tecnologia è uno strumento al servizio dell’Uomo, unico detentore di libero arbitrio nel nostro mondo, in grado quindi di interrogarsi sull’uso della tecnologia al servizio del bene o del male. Procede il progresso, si ripete la storia, almeno secondo la mia visione umanocentrica del mondo: per una vera evoluzione, infatti, l’Uomo dovrebbe agire verso il proprio fine ultimo guidato da solidi principi di etica e morale.
Le Intelligenze Artificiali sono in realtà “Incoscienze Artificiali”, citando la definizione che ne dà Massimo Chiriatti, tecnologo e convinto umanista: esse non sono dotate di senso critico, curiosità, creatività, ma si limitano ad eseguire le istruzioni impartite dall’uomo. Il valore aggiunto risiede nella capacità di chi le utilizza di porsi domande, di esplorare nuovi orizzonti, di governare la tecnologia per generare benessere. È fondamentale ricordarlo per creare quella “Società 5.0” che dal 2016 i giapponesi raccontano al mondo come proposta nazionale di progresso, culmine di un’evoluzione che ha compimento in una società incentrata sull’uomo, orientata allo sviluppo sostenibile, pienamente integrata e connessa digitalmente per rispondere ai bisogni dell’uomo, riducendo ogni tipo di disparità sociale, economica, etnica, di età o di genere grazie ad un virtuoso utilizzo della tecnologia. La chiave per la sua realizzazione sarebbe la fusione tra spazio cibernetico e mondo reale attraverso la produzione di dati al servizio di soluzioni per affrontare le sfide del nostro mondo: dalla mobilità, passando alle infrastrutture, ai rischi legati ai cambiamenti climatici e ai modelli di crescita degli ultimi secoli, fino ad arrivare all’invecchiamento della popolazione mondiale, le pandemie, i flussi migratori, l’assistenza sanitaria.
Utopia o impegno realizzabile, ben oltre Oriente? Dal mio punto di osservazione personale e professionale sulla società, come leader e membro del board di un’azienda impegnata a supportare l’evoluzione del sistema imprese attraverso la scelta, lo sviluppo, la valorizzazione delle Persone, non posso che essere ottimista. È passato un secolo dalle dichiarazioni di Adriano Olivetti, fondatore della prima azienda italiana di “macchine per scrivere”, impegnato nella costruzione di un modello di impresa e di società al servizio della Persona. Oggi, non più pionieri ma con il vantaggio del progresso che avanza e di una società con bisogni sempre più urgenti, abbiamo forse la possibilità di essere veri “Homo Faber”, in grado di trasformare la realtà adattandola alle nostre esigenze per un’evoluzione creatrice e responsabile. Il valore delle opportunità è infinitamente più alto dei rischi correlati, non credete anche voi?
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