
4. Novembre 2021 Imprenditore vs manager e il valore dell’impresa
Noi di Glasford International Italy siamo al fianco delle imprese da oltre vent’anni accompagnandole nel loro percorso di evoluzione attraverso una delle leve più strategiche: quella del capitale umano. Realizziamo questa missione grazie alla nostra offerta che abbraccia Executive Search e Assessment Architecture & People Metrics. Emanuela Ferro, Partner & Business Strategy Leader, nell’intervista rilasciata ad Andrea Colacicco di VeneziePost spiega quali siano le leve organizzative e manageriali che verranno assunte dai leader d’impresa nella ripresa post Covid, e quali valori li dovranno guidare, osservando inoltre le caratteristiche di due figure tanto importanti quanto, a volte, in contrasto come quella dell’imprenditore e del manager.
Emanuela Ferro, per lo sviluppo di un’impresa sono fondamentali sia le abilità dell’imprenditore che quelle del manager. Spesso, però, sentiamo che tra queste due figure si generano accesi contrasti dovuti a idee diametralmente opposte. E’ così?
Dobbiamo capire che questo è innanzitutto un rapporto tra persone. E come tutte le relazioni inizia condividendo un patto di fiducia fondato su un obiettivo comune. Il come raggiungerlo però differisce soprattutto se guardiamo al diverso arco temporale in cui si muovono imprenditori e manager. L’imprenditore è colui che tendenzialmente pensa al medio lungo termine, cerca di realizzare valore per le generazioni che verranno. Il manager invece è colui che deve risolvere i problemi trasformandoli in opportunità, generare risultati per il piano industriale. E’ qui che la partita si fa complessa: lavorare insieme per imprenditore e manager significa rinsaldare quotidianamente il patto di fiducia, a partire da una profonda e vera delega.
Può fare qualche esempio?
Se tornassimo nel Rinascimento, l’imprenditore sarebbe il mecenate che dispone di una visione più o meno illuminata, e di risorse economiche al servizio della propria signoria e della sua crescita. E il manager invece potrebbe essere raffigurato come Leonardo o Michelangelo, eccezionali artisti giunti alla loro corte per generare valore attraverso le loro opere. Un patrimonio che non è solo in seno a Roma o Firenze ma della società più ampia. D’altronde Leonardo non si fermò per tutta la sua vita a Firenze.
Uscendo dal romanticismo di queste immagini, passiamo alla pratica. Dopo un periodo di grande incertezza economica e di scarsa prevedibilità dei cambiamenti del mercato, anche i modelli manageriali sono mutati?
Stiamo osservando che le aziende si aprono sempre di più alla costituzione di leadership team che guardino allo sviluppo dell’impresa secondo quelli che sono i paradigmi di una buona impresa del medio lungo termine: sostenibilità, capacità di innovare e accogliere il cambiamento, solo per citarne alcuni. Ma questi concetti oggi assumono nuovi significati: non basta che un prodotto abbia un packaging green per definire l’azienda che lo produce sostenibile. Sostenibilità è un concetto più ampio, che guarda all’impatto ambientale, sociale e alla governance dell’azienda stessa: significa assumere quindi scelte organizzative coerenti nel modo di fare impresa, ad esempio valutando i propri manager e le loro performance all’insegna di questi principi. Ancora una volta la relazione tra imprenditore e manager e il loro patto di fiducia può favorire in senso biunivoco l’opportunità stessa per l’azienda di crescere.
Uno dei motti di Glasford è “non cacciamo teste, scopriamo persone”. Uno slogan ad effetto, ma che ci fa capire l’importanza del connettere capitale umano a cultura aziendale, umanesimo ed economia, al fine di ricercare la persona che contribuirà a favorire l’evoluzione dell’impresa del futuro.
Il rapporto umano è fondamentale. Quanto più la cinghia di trasmissione tra imprenditore e manager funziona, e si consolida in valori comuni, in una visione comune del senso ultimo dell’impresa, tanto più funzionerà la capacità di generare vero valore. Profitto per l’imprenditore che potrà rimpiegarlo per generare nuovo valore per l’azienda, per il territorio in cui opera, per tutti gli stakeholder coinvolti. A volte sottovalutiamo l’impatto delle scelte che facciamo rispetto al sistema più ampio di cui siamo parte: è un peccato, un’opportunità mancata. Scegliere la persona giusta per un mandato aziendale ad esempio ha un impatto non solo in quella funzione, in seno all’azienda stessa, bensì sull’intero sistema imprese. E in un momento storico di così grande cambiamento e di ampie connessioni è una responsabilità che noi sentiamo di dover onorare.
Il manager può essere la nuova figura imprenditoriale del futuro?
Il nostro futuro necessita di un approccio cogenerativo. Non c’è una categoria per il futuro, ma c’è un modo di fare insieme e di valorizzare il contributo di ciascuna parte. L’imprenditore deve investire bene, avere buone idee e delegare a buoni manager. Il manager deve esser un leader capace di interpretare la visione dell’imprenditore e di farla vivere a tutta la sua squadra. Ma anche i collaboratori sono essenziali all’azienda. Sempre più spesso nei mandati di selezione si ricerca imprenditorialità, ovvero la capacità di operare con curiosità, innovazione e senso di responsabilità a prescindere da ruoli e gerarchie.
Sembra aver appena richiamato il concetto più ampio di società.
Assolutamente. L’impresa non è un satellite a sé stante. Se non creasse relazioni di valore con le amministrazioni, lo Stato o semplicemente con i suoi fornitori e i suoi clienti sarebbe un sistema destinato all’entropia. Ma ritornando alla domanda di prima, per me il futuro è tornare a pensare al valore della persona a prescindere dal ruolo agito. E sento l’urgenza di ciò proprio alla luce del momento che stiamo vivendo. Il mercato esce da una grave crisi, che non è stata solo economica, e ora c’è un’opportunità straordinaria per crescere. Non l’accoglieremo assumendo una logica individualista, ma se tutti insieme coopereremo per qualcosa di più importante, per un bene comune.
A proposito di sfide del futuro. Lei ha scritto con altri autori un libro che parla di un nuovo vocabolario per le imprese dopo il Covid. Ci spiega perché serve questo nuovo vocabolario e quali sono le parole chiave per quelle imprese che voi chiamate di valore?
Quando avviene un cambiamento, spesso abbiamo bisogno di nuove parole per parlare. La pandemia è stata un acceleratore di cambiamenti già in atto e abbiamo sentito forte l’importanza di cogliere l’impatto che essa ha avuto nel mondo dell’impresa con cui quotidianamente parliamo. Lo abbiamo fatto a partire dal senso etimologico di parole sempre più ricorrenti come sostenibilità e tecnologia – motori della ripartenza, come dimostrano gli investimenti del Pnrr – per infine scoprire il senso profondo che acquisiscono in seno all’impresa. Un sistema articolato, complesso che attraverso la lente d’ingrandimento svela il legame con altri concetti e vocaboli. Parliamo di emozioni, motivazioni, fiducia, della ricerca di un nuovo equilibrio armonico. Questo nuovo vocabolario d’impresa si rende necessario ai capi azienda oggi per leggere le potenzialità dell’impresa e del sistema in cui si muove. Se correttamente parlato e agito, esso è la vera leva competitiva per realizzare imprese di valore.
Che tipo di valore?
Questa è la parola del nuovo vocabolario forse più complessa… è il valore che mette finalmente pace al derby fra economia e umanesimo, che scioglie ogni nodo di quell’ ossimoro tra profitto e valori che per troppo tempo abbiamo letto, raccontato e ascoltato. D’altronde quale valore è più grande di quello che si genera nella profonda connessione tra ciò in cui crediamo, e l’obiettivo verso cui muoviamo? Usciamo dagli ultimi due anni con una rinnovata consapevolezza, adesso è “solo” tempo di agire a partire dal mondo d’impresa, declinando risorse, scelte, azioni in opportunità concrete e di sviluppo ed evoluzione.
A questo link è disponibile l’intervista pubblicata sul sito di VeneziePost.
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