
22. Gennaio 2025 Cosa succede quando l’azienda incontra l’intelligenza artificiale?
Chiacchiere da bar
“Di intelligenza artificiale si parla anche nei bar”. Quante volte si sente questa espressione in un convegno, in uno scambio di opinioni tra colleghi, nei bar, appunto. Eppure, senza andare troppo indietro con gli anni, ai tempi di industria 4.0, nei bar non si parlava di cloud, o di IoT, e neppure di advanced manufacturing. Oggi invece si, dell’intelligenza artificiale ne sentiamo parlare anche nei bar, e già questo dovrebbe dare la dimensione della portata del fenomeno. Se l’AI è argomento di dibattito comune, un motivo c’è. L’evoluzione di una tecnologia che ha sulle spalle già più di settanta primavere, con quel 30 novembre 2022 che ci ha fatto conoscere l’intelligenza artificiale generativa che già bolliva in pentola da anni nei centri di sviluppo di alcune grandi big tech, è qualcosa che appartiene a tutti, con cui le persone si misurano quotidianamente nella vita privata e adesso sempre più anche sul lavoro. ChatGPT e tanti e tanti altri sistemi generativi a seguire, ha dato a tutti la possibilità di automatizzare attività che prima richiedevano notevoli energie, che fosse pianificare un itinerario di viaggio o scrivere un’e‑mail di lavoro. Da qui occorre partire, dalla constatazione di come ciò che troppo sbrigativamente viene definito come un hype è entrato prepotentemente nella vita delle persone, sul lavoro, a casa, e appunto, anche al bar. Possono i responsabili d’azienda ignorare tutto questo?
Il contesto odierno
Tra coloro i quali oggi sono chiamati a prestare maggiori energie nell’implementazione dell’intelligenza artificiale, vi sono proprio i professionisti delle risorse umane. Il meccanismo di utilizzo degli indizi mutuato dall’euristica ci fa correre immediatamente con la mente al dipartimento IT ogni volta che sentiamo parlare di tecnologia. È normale che sia così, quando si parla di trasformazione digitale, di innovazioni informatiche o di tutto ciò che riguarda sistemi, linguaggi di programmazione, algoritmi, la mente corre a chi detiene le competenze all’interno dell’organizzazione. L’intelligenza artificiale però è qualcosa di diverso. In primis siamo di fronte a un cambiamento di gioco, a una tecnologia che non si ferma semplicemente a un balzo in avanti nella storia dell’informatica e della matematica, ma a un agente di cambiamento dalla portata deflagrante. L’intelligenza artificiale è una tecnologia generale a impatto diffuso, che entra potenzialmente in qualsiasi settore e in qualsiasi funzione aziendale, grandi piccole o medie che siano le aziende e le organizzazioni. E spesso lo fa dal basso, bottom – up, grazie ai collaboratori che la conoscono meglio perché magari la usano nel tempo libero, e che la introducono in ufficio per velocizzare attività di routine come generare contenuti, scrivere e‑mail o riassumere un elaborato. È pertanto necessario considerare con attenzione la governance in primis, quindi le ricadute, gli impatti e i benefici che l’introduzione dell’AI può avere sui processi, sullo sviluppo di prodotto, sul posizionamento sul mercato, e sulle competenze che necessita siano presenti in azienda. Risulta fondamentale che il dibattito sull’intelligenza artificiale in azienda coinvolga il livello più alto di interlocuzione, e non resti relegato alla dimensione di una pura implementazione tecnica riservata ai pochi che ne sanno comprendere i complessi meccanismi. Al tavolo dello sviluppo dell’intelligenza artificiale devono sedere le leadership finanziaria, legale, commerciale, tecnologica, e molte altre. E ovviamente le risorse umane perché, se parliamo di processi, competenze e organizzazione, chi ogni giorno gestisce queste dimensioni in prima persona deve partecipare al dibattito.
A che punto siamo
Oggi l’adoption dell’intelligenza artificiale sembra procedere con forza. A febbraio dello scorso anno, l’Osservatorio del Politecnico di Milano ci restituiva due percentuali di adozione, il 61% delle grandi imprese e il 18% delle piccole e medie imprese. Numeri che si possono vedere crescere progressivamente durante l’anno in altre ricerche e barometri di rilevazione. Certamente, occorre analizzare con attenzione la qualità e la portata dei processi di implementazione, ma essendo in tante aziende ancora in una fase esplorativa, è lecito attendersi che in molti casi si sia di fronte a use case esplorativi e a progetti pilota di prudente portata per testare la tecnologia, come suggerisce anche Andrew NG. Se poi analizziamo più in profondità i dati relativi all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nelle risorse umane rispetto agli altri dipartimenti, la Skills & Generative AI Research 2024 di IDC ci fa sapere che nel campione della ricerca, il 23% dei dipartimenti risorse umane ha già soluzioni di AI generativa attive, contro un 12% generale. Oltre ad essere coinvolti nell’implementazione dei processi e nell’innesto di competenze, il settore delle risorse umane sta anche sperimentando in prima persona i benefici delle AI generativa, spesso con l’automazione di attività che precedentemente richiedevano un notevole dispendio di energie e risorse. Siamo abituati all’arrivo di nuove tecnologie, non è qui la novità, ma nella velocità con cui corre l’innovazione dell’AI generativa, che impone un’osservazione costante del mercato. Pensiamo solo a come il settore delle traduzioni stia profondamente cambiando, in ultimo l’arrivo di Lara il machine translator di Translated, azienda italiana che si trova ai vertici mondiali per la qualità delle traduzioni, e che nel corso del 2025 promette di raggiungere la singolarità linguistica. O la versione beta di Computer User di Claude 3.5 Sonnet, che ci mostra le potenzialità di un’AI che interagisce con il computer esattamente come se fosse un utente fisico, muovendo il mouse, aprendo cartelle, facendo ricerche su internet. È a segnali del presente come questi che anche i professionisti HR devono iniziare a porre attenzione.
Sfide di change management
Quello odierno è un contesto di straordinaria complessità, in cui le imprese devono osservare con attenzione l’evoluzione del panorama geopolitico, ormai radicalmente mutato rispetto agli equilibri definiti dal ciclo della Pax Americana successiva al termine della Guerra Fredda. È utile ricordare che la geopolitica, come disciplina, non si interroga sugli orientamenti ideologici delle collettività, né va interpretata attraverso l’utilizzo di chiavi di lettura meramente economiche. L’economia è, semmai, uno dei “campi di gioco” su cui si manifesta la dinamica competitiva tra le potenze, ma non ne determina le strategie. La geopolitica nasce all’interno delle accademie militari e delle scuole di strategia, un parallelo interessante con l’origine dell’intelligenza artificiale, che ha visto pionieri come Alan Turing contribuire in maniera determinante allo sforzo bellico Alleato durante la Seconda Guerra Mondiale. Come avviene per molte tecnologie, il campo di esplorazione ed applicazione primario è quello della difesa, e l’impresa diviene poi lo scenario mainstream. Questo pattern ricorre anche nell’evoluzione della funzione organizzativa: strumenti e approcci oggi comuni nella valutazione, selezione e formazione del personale hanno avuto origine nell’ambito della difesa statunitense, prima di approdare al mondo delle corporations.
Il ruolo delle Risorse Umane
Le Risorse Umane, in questo scenario, sono chiamate a fare da ponte tra innovazione e contesti organizzativi, svolgendo un ruolo cruciale nel governarne la transizione. C’è una sfida determinante quando si parla di AI. Va chiarito un distinguo. Da un lato c’è l’informatica tradizionale, quella che nasce per automatizzare attività umane eseguite dalla tecnologia seguendo i passaggi impostati dai programmatori. Chi le ha realizzate, chi le ha generate? La combinazione tra l’informatico, l’analista funzionale e il programmatore, come diremmo parlando di ERP o di CRM, e l’esperto della materia, che è il detentore di un know-how. Un’attività nota all’uomo, che viene codificata e informatizzata per essere eseguita più velocemente, con maggiore efficienza, sintetizzando, uniformando, fornendo dati che possono supportare un processo decisionale. Ma questa tecnologia non ha capacità di adattarsi o di apprendere. Dall’altra parte c’è l’AI generativa, che non si limita a seguire istruzioni predeterminate, ma apprende dai dati, dalle operazioni, identifica schemi, prevede risultati, e genera contenuti originali. Dove l’informatica tradizionale è reattiva, l’AI sta dimostrando di poter essere proattiva. Dove prima avevamo strumenti per razionalizzare e ottimizzare il passato, ora abbiamo strumenti che possono aiutarci per costruire il futuro. L’AI è un game changer, un cambio di paradigma, e come tutti gli eventi di radicale disruption, attraversa l’umanità, e di conseguenza l’azienda, a tutti i livelli. Dobbiamo quindi essere consapevoli, come già evidenziato, che non va affrontato, compreso e gestito come un tema puramente informatico, ma a tutti gli effetti è un tema organizzativo di Change Management.
Trasformazione organizzativa
Prima ancora della fase di innesto tecnologico AI, si apre un tema di trasformazione organizzativa e, inevitabilmente, di governance. Un tema che si porrà in tempi molto brevi come esistenziale per il futuro e la sopravvivenza delle aziende, e una questione di competitività tra persone, tra colleghi. E che ruolo avrà la Direzione HR in tutto questo? Forti delle evidenze che emergono dal nostro confronto con le imprese, abbiamo realizzato che si possono identificare quattro fasi in questo processo:
- Socializzazione
- Scoperta
- Sperimentazione
- Integrazione
Le prime due sono la fase di socializzazione e di scoperta, dove la parola chiave è “curiosità”, il vedere le potenzialità e che forma prendono. Sostanzialmente, siamo ancora “fuori dall’azienda”. Poi arriva la sperimentazione, il metterci le mani e la testa, impratichirsi iniziando a calarla dentro, fino alle organizzazioni più complesse che l’hanno integrata. Normale che si siano tempi di reazione diverse e maturità diverse. Ciò che come siamo spesso chiamati a offrire al mercato è un’accelerazione di questo processo, intervenendo, progettando e coordinando, fino alla messa a terra, iniziative coerenti con le quattro fasi che abbiamo osservato.
Soluzioni
La fase di socializzazione è supportata da azioni quali ad esempio le AI Escape Room, evento in chiave gaming, dove i giocatori sostengono prove con utilizzo di AI, elemento di novità e di ingaggio in una situazione ludica, molto efficace perché traslata in una dimensione non strettamente lavorativa. Nella fase di scoperta si innestano azioni come l’AI Discovery Journey, un intervento di literacy e education che ha lo scopo di diffondere nell’organizzazione una prima base di conoscenza dell’intelligenza artificiale, condividendone principi, funzionamenti, sfide e opportunità. La fase di sperimentazione è quella che vede nascere iniziative di primo ingresso dell’intelligenza artificiale nell’organizzazione, come ad esempio i programmi di mentoring, in cui si accompagnano i collaboratori dell’azienda in una conoscenza della i mediata da interazione con esterni, spesso giovani laureati che portano nelle aziende la loro conoscenza della tecnologia, e a loro volta ricevendo formazione aziendale dall’impresa. Infine, la fase di integrazione, quella in cui si vanno a supportare i processi di adoption con interventi di affiancamento e formazione mirati sulle persone che saranno poi incaricate dello svolgimento delle attività connesse all’introduzione dell’intelligenza artificiale.
Marco Alici Biondi, Partner & Board Member di Glasford International Italy
Giovanni Rossi, Principal di Glasford International Italy
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