AI: da trend a mindset

AI: da trend a mindset

Verso un’adozione consapevole dell’AI: il fattore human prima della tecnologia

di Valeria Palombini — Human Capital Solutions Director, Partner & Board Member, Giovanni Rossi – Principal Human Capital Solutions di Glasford

L’adozione dell’intelligenza arti­fi­ciale cresce rap­i­da­mente, ma la vera sfi­da res­ta umana: è con cul­tura dig­i­tale, for­mazione e lead­er­ship che la tec­nolo­gia si trasfor­ma in val­ore, e l’HR diven­ta il motore del cam­bi­a­men­to ver­so un’AI con­sapev­ole, eti­ca e con­di­visa

L’intelligenza arti­fi­ciale non è più una curiosità ris­er­va­ta alle spe­cial­iz­zazioni uni­ver­si­tarie o ai gigan­ti dell’innovazione: con una cresci­ta del 58% in un solo anno, nel 2024 il mer­ca­to ital­iano è sal­i­to a 1,2 mil­iar­di di euro, e qua­si sei gran­di aziende su dieci dichiara­no di avere già un prog­et­to di AI atti­vo, men­tre il 99% delle per­sone ha sen­ti­to par­lare di intel­li­gen­za arti­fi­ciale.

Quan­do l’Osservatorio HR Inno­va­tion Prac­tice del Politec­ni­co di Milano ha map­pa­to le soluzioni pre­sen­ti nei dipar­ti­men­ti risorse umane, ha scop­er­to che il 32% delle imp­rese ital­iane uti­liz­za almeno una tec­nolo­gia AI per gestire i can­di­dati o per sup­port­are i pro­pri dipen­den­ti, con appli­cazioni che spaziano dai chat­bot con­ver­sazion­ali, all’analisi seman­ti­ca per selezionare i cur­ric­u­la, fino alla per­son­al­iz­zazione dei per­cor­si di for­mazione e al match­ing dei pro­fili più rispon­den­ti a una ricer­ca.

Dati in crescita, ma manca consapevolezza

L’ecosistema degli HR ana­lyt­ics, già in forte movi­men­to da molto pri­ma dell’arrivo del­la Gen­er­a­tive AI, cresce e incor­ag­gia fun­zioni come recruit­ing, for­mazione, per­for­mance man­age­ment ed engage­ment a ori­en­tar­si sui dati e a col­lab­o­rare con col­leghi esper­ti di tec­nolo­gia per raf­finare le fun­zion­al­ità.

Ma la vera sfi­da non riguar­da tan­to la matu­rità dei mod­el­li, quan­to la preparazione delle per­sone chia­mate a gov­ernarli. Una recente ricer­ca di Gallup evi­den­zia che sette lavo­ra­tori su dieci non usano mai l’AI, men­tre solo uno su dieci la uti­liz­za set­ti­manal­mente, e appe­na il 15% degli inter­vis­ta­ti ritiene che l’organizzazione abbia comu­ni­ca­to una strate­gia chiara sull’AI.

La dis­tan­za tra aspet­ta­tive e realtà è fotografa­ta anche dal rap­por­to Super­a­gency in the work­place di McK­in­sey, che ripor­ta come il 92% delle aziende mon­di­ali prevede di aumentare gli inves­ti­men­ti in AI gen­er­a­ti­va nei prossi­mi tre anni, ma solo l’1% dichiara di avere una ges­tione matu­ra del­la tec­nolo­gia.

Anco­ra prevale la shad­ow AI o la BYOAI (bring your own AI), in cui i dipen­den­ti uti­liz­zano stru­men­ti selezionati per­sonal­mente tre volte più spes­so di quan­to pensi­no i man­ag­er, e qua­si metà di loro imp­ie­ga l’AI gen­er­a­ti­va per almeno il 30% del pro­prio lavoro.

E sono gli stes­si lavo­ra­tori a chiedere mag­giore for­mazione: qua­si uno su due indi­ca che un pro­gram­ma di train­ing strut­tura­to sarebbe la leva prin­ci­pale per mas­simiz­zare i ben­efi­ci, men­tre un lavo­ra­tore su cinque lamen­ta di aver rice­vu­to poco o nes­sun sup­por­to, affi­dan­dosi preva­len­te­mente ad aut­o­for­mazione.

La man­can­za di visione strate­gi­ca por­ta molte aziende a fer­mar­si ai prog­et­ti pilota, e non a caso solo l’11% dei dipen­den­ti si sente prepara­to a col­lab­o­rare con l’A. Anche i dati dell’Anthropic Obser­va­to­ry con­fer­mano una cor­sa veloce, ma dis­o­mo­ge­nea: in poco più di due anni la quo­ta di lavo­ra­tori amer­i­cani che uti­liz­zano l’AI è rad­doppi­a­ta dal 20% al 40%, e nelle gran­di aziende il 77% dell’utilizzo riguar­da l’automazione com­ple­ta di task. Insom­ma, la si usa, ma spes­so in modo dis­or­ga­niz­za­to e incon­sapev­ole, affi­dan­dosi al buon sen­so e all’autoformazione più che allo stu­dio.

Formazione e cultura digitale come leve per l’adozione

Dan­do uno sguar­do all’Italia, l’adoption si pre­sen­ta molto seg­men­ta­ta: per ISTAT nel 2024 la per­centuale di aziende con almeno dieci dipen­den­ti che imp­ie­gano l’AI è pas­sa­ta dal 5% all’8,2% in un anno.  La cresci­ta è più mar­ca­ta nelle orga­niz­zazioni con 50–99 addet­ti (dal 5,3% al 14%) e tra le gran­di (dal 24,1% al 32,5%). Gli uti­lizzi più dif­fusi sono la gen­er­azione di conoscen­za dai dati (54,5%), l’AI gen­er­a­ti­va (45,3%) e l’automazione dei flus­si di lavoro (28,1%).

Sor­prende che il 38,1% delle imp­rese con­sid­eri la for­mazione del per­son­ale inter­no l’elemento deci­si­vo per il suc­ces­so dei prog­et­ti (una per­centuale che sale al 70,8% fra le gran­di aziende), men­tre il 22% sot­to­lin­ea la neces­sità di assumere tal­en­ti con com­pe­ten­ze AI. Qua­si un’azienda su tre indi­ca la caren­za di com­pe­ten­ze (tec­niche, ma anche trasver­sali) come prin­ci­pale osta­co­lo, e il 26% recla­ma per­cor­si for­ma­tivi speci­fi­ci per ruo­lo.

La dimen­sione gen­er­azionale pesa: il 62% dei lavo­ra­tori ital­iani uti­liz­za l’AI al lavoro e la per­centuale sale all’89% tra i Gen Z men­tre il 64% dei baby boomer non la usa mai, res­ta chiaro che l’entusiasmo dei più gio­vani si accom­pa­gna a un’adozione molto lega­ta alla pro­dut­tiv­ità per­son­ale, spes­so a com­pi­ti come traduzione di testi, cor­rezione gram­mat­i­cale o rifor­mu­lazione di con­tenu­ti e nell’85% dei casi gen­era un aumen­to del­la pro­dut­tiv­ità per­cepi­ta.

Il 68% dei lavo­ra­tori ital­iani ha già sper­i­men­ta­to la Gen­er­a­tive AI, ma il 36% teme di essere sos­ti­tu­ito, e soprat­tut­to solo un quar­to degli oper­a­tori si sente sup­por­t­a­to rite­nen­do di avere rice­vu­to una adegua­ta for­mazione. Il 37% degli inter­vis­ta­ti dichiara che la caren­za di stru­men­ti e la man­can­za di appog­gio da parte del man­age­ment spin­gono più del­la metà dei dipen­den­ti a ricor­rere a stru­men­ti di shad­ow AI non autor­iz­za­ti.

Il sosteg­no del­la lead­er­ship fa la dif­feren­za: quan­do i diri­gen­ti pro­muovono l’uso dell’AI, l’ottimismo sul futuro pro­fes­sion­ale cresce di quar­an­ta pun­ti. Ecco per­ché l’adozione non è un automa­tismo tec­no­logi­co, ma un per­cor­so di cam­bi­a­men­to cul­tur­ale che ha bisog­no di strate­gia e di con­sapev­olez­za nel com­pren­dere i pun­ti di parten­za interni, soprat­tut­to quel­li derivan­ti dal­la vari­età gen­er­azionale. È fuor­viante e inef­fi­ciente pen­sare di uti­liz­zare gli stes­si iden­ti­ci per­cor­si di for­mazione per per­sone di clas­si ana­gra­fiche pro­fon­da­mente diverse.

Il panorama italiano tra sviluppo dell’AI e gap di competenze

Nel­lo sce­nario appe­na descrit­to il ruo­lo delle risorse umane è fon­da­men­tale. L’HR deve essere al cen­tro del­la trasfor­mazione, per­ché conosce i pro­ces­si, misura l’impatto sull’organizzazione e deve creare una cul­tura che val­orizzi e inte­gri le tec­nolo­gie. Numerose ricerche mostra­no che l’analisi dei dati può miglio­rare la qual­ità del recruit­ing, per­son­al­iz­zare la for­mazione, ren­dere più equa la val­u­tazione delle prestazioni e sti­mo­lare l’engagement, ma questo è pos­si­bile solo se l’HR è adeguata­mente prepara­to con com­pe­ten­ze analitiche e se instau­ra un dial­o­go costante con i repar­ti IT e legali per garan­tire che l’uso dei dati rispet­ti le nor­ma­tive e non pro­d­u­ca dis­crim­i­nazioni.

Inoltre, la nor­ma­ti­va dell’AI Act richiede che le imp­rese inves­tano nell’alfabetizzazione dei dipen­den­ti all’AI e che vig­ili­no sui sis­te­mi adot­tati inter­na­mente, in par­ti­co­lare su quel­li HR molti dei quali clas­si­fi­cati ad alto ris­chio. L’adozione dell’AI non può essere las­ci­a­ta alle inizia­tive spon­ta­nee, ma deve seguire per­cor­si strut­turati e coer­en­ti con la strate­gia azien­dale e le pre­scrizioni nor­ma­tive. Un buon numero di ricerche evi­den­zia come le aree in cui si con­cen­tra­no gli inves­ti­men­ti sono prin­ci­pal­mente la for­mazione e lo svilup­po (22%), l’engagement (20%), per­for­mance man­age­ment e recruit­ment (18%). Non man­cano le pre­oc­cu­pazioni: cir­ca un ter­zo dei respon­s­abili HR teme di perdere la com­po­nente umana dei pro­ces­si, e uno su tre denun­cia poca conoscen­za del­la mate­ria, men­tre un altro ter­zo soll­e­va dub­bi eti­ci.

Il ruolo strategico delle Risorse Umane

Di fronte a queste evi­den­ze, il com­pi­to delle risorse umane non è quel­lo di rin­cor­rere l’ultima piattafor­ma, ma di orches­trare un cam­bi­a­men­to che met­ta le per­sone real­mente al cen­tro. E non è un facile slo­gan, ma un tema di sostan­za che mette in dis­cus­sione la buona rius­ci­ta di un per­cor­so di adop­tion. Da un lato occorre creare una cul­tura del dato, map­pare i pro­ces­si e capire dove l’AI può gener­are val­ore liberan­do le per­sone da attiv­ità ripet­i­tive e sup­por­t­an­do la cre­ativ­ità e la capac­ità deci­sion­ale.

Dall’altro è nec­es­sario costru­ire per­cor­si di upskilling e reskilling che aiuti­no i col­lab­o­ra­tori a leg­gere i dati, inter­pretare le risposte degli algo­rit­mi, inte­grarne i sug­ger­i­men­ti nel pro­prio giudizio e svilup­pare soft skill come prob­lem solv­ing, cre­ativ­ità, comu­ni­cazione e lead­er­ship. Soprat­tut­to in un momen­to in cui il dibat­ti­to è polar­iz­za­to sull’alternativa aug­men­ta­tion vs automa­tion, bisogna tenere la guardia alta sul pos­si­bile ris­chio del deskilling.

Numerosi stu­di ci dicono che l’esposizione con­tin­ua all’AI può inde­bolire le abil­ità. Ed è qui che l’HR sarà sem­pre più chiam­a­to a vig­i­lare. La for­mazione deve essere per­son­al­iz­za­ta, capace di col­mare le dif­feren­ze gen­er­azion­ali che emer­gono nelle orga­niz­zazioni, e soprat­tut­to deve essere accom­pa­g­na­ta da una comu­ni­cazione traspar­ente. I dipen­den­ti che per­cepis­cono una strate­gia chiara sono qua­si tre volte più propen­si a sen­tir­si preparati e a pro­prio agio nell’uso dell’AI. Ecco allo­ra che l’HR può diventare il pun­to di rifer­i­men­to per costru­ire ques­ta nar­ra­ti­va, definire pol­i­cy d’uso, orga­niz­zare per­cor­si di apprendi­men­to, sen­si­bi­liz­zare sui rischi e sulle oppor­tu­nità, e dialog­a­re con i diver­si por­ta­tori di inter­esse esterni per pro­muo­vere un’evoluzione respon­s­abile.

Le persone al centro della trasformazione

Se la tec­nolo­gia corre, l’elemento deter­mi­nante rimar­rà la capac­ità di coin­vol­gere e far crescere le per­sone. La promes­sa di un futuro in cui l’AI si occu­pa del­la rou­tine per las­cia­re spazio alla strate­gia, all’empatia e all’innovazione sarà pos­si­bile solo se le aziende inve­sti­ran­no pri­ma di tut­to nel cap­i­tale umano. Il suc­ces­so dell’AI richiede un approc­cio sis­temi­co in cui gli HR siano art­efi­ci e cus­to­di del cam­bi­a­men­to, pron­ti a intrec­cia­re com­pe­ten­ze tec­no­logiche e sen­si­bil­ità uman­is­tiche, costru­ire cul­ture del­la fidu­cia e del­la sper­i­men­tazione e mis­urare risul­tati non solo in ter­mi­ni di effi­cien­za, ma di cresci­ta e benessere col­let­tivi.

L’impostazione che pro­poni­amo come Glas­ford è quel­la di trasfor­mare l’AI da “ogget­to tec­no­logi­co” a prat­i­ca orga­niz­za­ti­va, par­tendo pro­prio dalle per­sone. Il pun­to di attac­co è com­pren­dere la readi­ness e le pri­or­ità, così da evitare prog­et­ti “tech–first” e abil­itare una vera adozione con­sapev­ole: è questo l’obiettivo del DAI – Diag­nos­tic Arti­fi­cial Intel­li­gence, uno stru­men­to che com­bi­na una fotografia quan­ti­ta­ti­va (AI Com­pass) e una val­i­dazione qual­i­ta­ti­va (Deep Dive) per far emerg­ere forze, gap e rischi lun­go le dimen­sioni di strate­gia, gov­er­nance, com­pe­ten­ze e pro­ces­si.

L’AI Com­pass resti­tu­isce una pri­ma fotografia dell’organizzazione e seg­nala la neces­sità di alfa­bet­iz­zazione pri­ma di qual­si­asi roll­out; questo con­sente al man­age­ment di decidere con evi­den­za dove inter­venire pri­or­i­tari­a­mente, se su lead­er­ship e change, su data foun­da­tion o su risk & com­pli­ance.

In par­al­le­lo, le Deep Dive Inter­view con gli stake­hold­er map­pano orga­niz­zazione, mec­ca­n­is­mi di super­vi­sione, chiarez­za deci­sion­ale, ruoli/responsabilità e preparazione ai req­ui­si­ti di con­for­mità: insight utili per impostare un piano d’azione che toc­chi davvero i nodi che fan­no la dif­feren­za sui risul­tati. Ques­ta metodolo­gia, che inte­gra mis­urazione e ascolto, risponde esat­ta­mente al bisog­no di agire sul­la com­po­nente human per pas­sare dal trend alla per­for­mance, col­man­do il divario tra poten­zial­ità dei mod­el­li e capac­ità delle per­sone di guidar­li.

Dalla diagnosi alla consapevolezza: il metodo Glasford

Dal­la diag­nosi alla cresci­ta delle com­pe­ten­ze, Glas­ford accom­pa­gna quin­di board, exec­u­tive, man­ag­er e team oper­a­tivi con i per­cor­si AI Dis­cov­ery Jour­ney e AI Devel­op­ment Pro­gram. Si trat­ta di mod­uli di lit­er­a­cy e di appro­fondi­men­to su fon­da­men­tali, dig­i­tal mind­set, pro­fili legali/compliance e appli­cazioni busi­ness, con­fig­ura­bili per des­ti­natari e tem­p­is­tiche diver­si.

L’approccio è learn­ing-by-doing e ori­en­ta­to ai casi d’uso delle fun­zioni, per costru­ire linee gui­da d’impiego, pol­i­cy d’uso respon­s­abile e met­riche di val­ore che definis­cano meglio l’uso dell’AI in azien­da e la vari­abil­ità di adozione. Il pun­to cen­trale su cui insis­ti­amo nei nos­tri prog­et­ti è pro­prio quel­lo di rius­cire ad abil­itare le per­sone a saper porre le giuste domande, per­ché non è la tec­nolo­gia a man­care, ma in molti casi la capac­ità delle per­sone di com­pren­der­la e di guidare effi­cace­mente il cam­bi­a­men­to. È a questo liv­el­lo che Glas­ford è l’advisor migliore per le orga­niz­zazioni, facen­do in modo che l’intervento tec­no­logi­co non sia un obi­et­ti­vo in sé, ma una com­po­nente di inno­vazione che deve essere nec­es­sari­a­mente armo­niz­za­to con la parte human.

I percorsi per sviluppare competenze AI

Advi­so­ry, for­mazione, con­sulen­za, ma non solo. Nel­la parte di ese­cuzione, Glas­ford inte­gra le storiche prac­tice di Exec­u­tive Search, Assess­ment Archi­tec­ture e Tal­ent Strat­e­gy per pre­sidiare al meglio i ruoli crit­i­ci (CxAI, data/ML lead, CIO / CTO) e l’architettura delle com­pe­ten­ze, così che la gov­er­nance dell’AI cresca insieme alla capac­ità di ese­cuzione quo­tid­i­ana, met­ten­do in sicurez­za i piani di inves­ti­men­to e i pro­ces­si di inte­grazione.

In questo sen­so è cru­ciale anche la capac­ità di leg­gere il fat­tore gen­er­azionale nelle mec­ca­niche di adop­tion per pot­er val­oriz­zare al meglio le diverse posizioni che le per­sone han­no nei con­fron­ti del­la tec­nolo­gia, traen­do il meglio da cias­cun pun­to di vista e dalle espe­rien­ze di ognuno.

È anche questo il sen­so dei per­cor­si di reverse men­tor­ing che Glas­ford ha svilup­pa­to, affi­an­can­do a respon­s­abili azien­dali gio­vani neo­lau­re­ati in fun­zione di men­tor, così da migrare rec­i­p­ro­ca­mente la conoscen­za dell’AI con la conoscen­za dei pro­ces­si interni all’azienda. È questo l’approccio inte­gra­to tra HR e pro­ces­si con cui mis­uri­amo dove l’organizzazione si tro­va rispet­to alla tec­nolo­gia, allineiamo lead­er­ship e pro­ces­si, svilup­pi­amo com­pe­ten­ze mirate per­ché l’AI diven­ti un mind­set orga­niz­za­ti­vo, e non un’iniziativa iso­la­ta. E in questo approc­cio la cen­tral­ità dell’HR è uno dei car­di­ni del­la buona rius­ci­ta di un’efficace AI adop­tion, fat­tore fon­da­men­tale per assi­cu­rare che le strate­gie di inno­vazione dell’organizzazione pos­sano rag­giun­gere pien­amente gli obi­et­tivi con lungimi­ran­za e solid­ità.

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